Lettera inedita di Torquato Tasso

È indirizzata a Giovan Girolamo Albani cavaliere bergamasco, fatto cardinale nel 1570 da Pio Quinto. L’ Albani conobbe il Tasso ancora fanciullo: nelle disgrazie talora lo aiutò, e talora abbandonollo. Pregevoli notizie di esse abbiamo in questa lettera; e particolarmente di un’apologia che Torquato scrisse per suo padre; la cui memoria rimaneva odiosa agli Spagnuoli (allora potentissimi in Italia ) perchè Bernardo Tasso come segretario del principe Sanseverino aveva seguitato il padrone, e la parte francese. Di quest’apologia, che Torquato riconosce come origine de’ suoi travagli, non trovo che abbia parlato il diligentissimo Serassi. Questa lettera dobbiamo alla gentilezza del nobil uomo il sig. Ercole Caleagnini de’ Marchesi di Fusignano, e alla diligenza infaticabile del marchese Francesco suo figlio; il quale dalla scrittura naturalmente cattiva di Torquato ha saputo indovinare le parole, delle quali per la maggior parte rimaneva appena vestigio. L’originale è di quattro fogli; e pare minuta fatta dal Tasso con gran fretta e negligenza. È credibile che venisse anticamente alle mani di Guido Caleagnini Conte di Fusignano, Cavriago e Moranello, in essa lettera nominato. Avola di lui fu Laura Principessa d’ Este; e moglie Lucrezia de’ Boiardi marchesi di Scandiano. Militò da giovane in Fiandra e in Francia. Il duca Alfonso li lo mandò ambasciatore a Gregorio XIII, ad Innocenzo IX, a Sigismondo III re di Polonia e a Ridolfo II imperatore. Venuta Ferrara in potere del Pontefice, fu egualmente onorato da Clemente Vili e dagli Aldobrandini.

Al Rev.mo et Illus.mo Sig. e Padron mio Colend.mo

Nuova et inaudita sorte d' infelicità è la mia ch’io debba persuadere a V. S. Rev.ma di non esser forsennato, e di non dover come tale esser custodito dal Sig. Duca di Ferrara, nè tenuto prigione; nuova ed inaudita certo ai nostri tempi, ed anco a quelli degli avoli e degli avoli degli avoli nostri; percioché alcuno esempio non se ne racconta: ma in Grecia avvenne anticamente caso non dissimile a questo, che Sofocle famoso tragico era da’ figliuoli impedito come folle di governar le facoltà, ch’egli s’haveva per avventura acquistate; onde per liberarsi dal sospetto dell’imputata pazzia lesse a’ Giudici l’ Edippo Goloneo tragedia, ch’egli haveva fatta ultimamente, per la quale fu sapientissimo giudicato. E s’io che nell’infelicità gli sono simile, potrò nell’istesso modo a V. S. Rev.ma, che non confido che debba esser men sincero giudice, persuadere di non esser folle, quando che sia mi gioverà di raccontare le mie passate infelicità. La prego dunque che voglia leggere due dialoghi, ch’ultimamente hò fatti, l’uno della nobiltà, l’altro della dignità; i quali assai manifestamente possono dimostrare quale sia il mio senno: e se leggergli vuole, conviene che qui mandi alcuno che li prenda, o che almeno apra il commercio delle lettere, che m’è interdetto, nè sò da chi: ma se non solo gli scritti, ma 1’attioni possono esser argomento ch’altri non sia folle, perchè debbo io non sol folle ma forsennato esser giudicato? Chi è stato ucciso da me, chi ferito, chi percosso? o chi almeno m’ha dimandato piacere che non l’habbia compiaciuto? chi ha voluto da me intendere da me (a) alcuna cosa appartenente à gli studi miei che non l’habbia intesa? chi m’ha voluto giovare che da me sia stato schivato, come sarebbe da folle? non certo i medici, i quali ho sempre oltre modo desiderati e pregati che vengano a vedermi; non i confessori, i quali nell’istesso modo ho desiderati e pregati; non alcun degli antichi amici miei, dei quali, come de’ confessori non ho potuto anchora vedere alcuno. Se dunque niuno mio scritto mi condanna per forsennato, se niuna azione mia; con qual ragione il Sig. Duca di Ferrara vuol come forsennato tenermi prigione? Diranno alcuni per avventura ch’io ho scritto molte cose più licentiosamente de’ Principi e de’ privati, eh’ io non doveva , e che nel medesimo modo hò parlato, e che diedi già una percossa ad un huomo custode della mia prigione. A queste tre opposizioni Monsignor Rev.mo. partitamente risponderò. De' Principi è mio debito di parlar con honore e con rispetto; et io non sono stato mai, non dirò sì folle, ma sì imprudente che non l' habbia conosciuto; non quando scriveva quelle stesse cose che potevano altrui maggiormente spiacere: ma io le hò scritte perchè hò creduto che V.S. Rev.mo. et Illus.mo. et Eccell.mo. Sig. Scipion Gonzaga Principe d’Impero, volesse che prendessi la difesa di mio padre, contra i duchi di Ferrara e di Mantova, contra Monsignor Ulus m0 . d’ Este, e contra sua Maestà Cattholica eziandio; ed hò , creduto parimente che il Ser.mo Sig. Duca di Savoia , il Duca d’Urbino, la Republica di Vinegia, i clementissimi principi di Germania, il Sig. D. Giovanni d' Austria la difesa dovessero approvare: ma nel difenderlo assai chiaramente ho dimostro di non esser folle; perch’ i folli non han distintion di persone; ma io con tanto rispetto ho parlato a Sua Maestà Cattholica, con tanto sdegno del Cardinale d’Este e d’ alcuni altri , che mi pareva eli’ assai chiaramente si potesse conoscere che non mi mancava nè risoluzione di morire per lo padre, nè desiderio di vita, quando sua Maestà Cattholica, la vita del padre, (che vita è la memoria) alle lagrime del figliuolo havesse voluto donare. E chi in questo modo è risoluto di morire, e tanto stima la vita che per rincrescimento non vuol perderla, non può esser folle in alcun modo giudicato. Solo Monsignor Illus.mo. mi rincresce che quella difesa, che con l’authorità vostra e dell’ lllus mo . etEccell m0 . Sig. Scipione Gonzaga ho presa, non è stata da me trattata con quell' arte e con quell’ eloquenza che in occasione di tanta importanza doveva dimostrare; ma s’ alcuna cosa hò scritta che altrui non sia dispiaciuta, dal dolore è stala somministrata: ma s’io m’inganno Monsignor Ill.mo che l’autorità sua e dell'Illus.mo et Ecc.mo Sig. Scipione Gonzaga m'habbia indotto à questa difesa, se questa è imaginalion falsa, se humor melanchonico, è così lontana Ferrara da Roma, eh’ un messo, una lettera odelf uno o dell’altro non mi potesse ammonire eh’ io lasciassi stare di scriver cose sì fatte ? Me 1’ ha fatto dire il Duca di Ferrara, me l’ha detto altri: ma doveva io ubbidire al Duca di Ferrara, in quello che per altrui authorità, contro la sua volontà haveva preso di fare? Dunque l'authorità di coloro ch'erano stati authori di questa difesa doveva acquetarmi, non quella del Sig. Duca di Ferrara; ch’io giudico principe d'animo alieno da me, poco amico della mia riputatione, e molto inclinato a favorire, se non volete dir i nemici almen gli emuli miei; ma s’io nella vita, se nell’ honore, se ne’ comodi sono stato offeso, debbo dir piuttosto nemici ch’emuli: e questo in quanto alla prima oppositione. Alla seconda delle parole, tanto mi par più facile di rispondere, quanto son più securo che non solo gli altri, ma il Sig. Duca di Ferrara istesso desidera ch’io parli licentiosamente ; et io son securo , non debbo credere di potermi ingannare: nondimeno perchè vegga V. S. Rev.mo ch’io voglio, come huomo ragionevole, con la ragione contendere, mandi il Duca di Ferrara il Cavalier Gualengo, mandi il Conte Hercole Tassone a parlar meco, ch’io mi fermerò con loro in alcun proposito, in modo che non gli rimarrà nè occasione nè pretesto di tenermi prigione come matto. Alla terza dico, ch’io non niego eh’ io non percotessi l’huomo custode della mia prigione; ma che nondimeno gli ho voluto dare quelle sodisfattioni che huomo della sua conditione potesse desiderare ; et a me pare eh’ egli non potesse ricercarla maggior di quella eh’ io gli diedi con queste parole, ch’io il percossi credendo ch’egli volesse ch’io il percotessi: perciochè se niuna ingiuria può essere con volontà dell’ ingiuriato , s’ io l’ haveva percosso credendo ch’egli volesse, non l’ haveva con animo di fargli ingiuria percosso: ma da che il percossi sono passati due anni; e dopo egli ha havuto uno scritto di mia mano, nel quale io gli prometto ducento cinquanta scudi con alcune conditioni, al quale mi reputo obligato non solo in quel modo che vuole la ragione civile, ma che richiede anchora la cortesia di gentiluomo. Assai mi pare, o Monsignor Illus.so d’haver provato ch’il Duca di Ferrara, come forsennato non debba tenermi prigione: hora considero con V. S. Illus.ma s’egli mi ci possa tener come savio colpevole. Le colpe o sono antiche o nuove. Per 1’ antiche essendo io ritornato sotto la parola di V. S. Illus.ma confermata dal Conte Guido Calcagnini e dal Sig. Camillo Gilioli suoi gentiluomini, non può con suo lionore in alcun modo tenermici. Per le nuove, s* egli ha voluto 'ch’io in alcun modo l’offenda, non può dolersi ragionevolmente eli’ io più nell’ uno che nell’altro modo l’abbia offeso: perciochè l’ iraaginatione per la quale egli vuole per avventura che mi muova , non può esser certa; e potrei per avventura molte fiate haver detto cosa, credendo ch’egli volesse, la qual gli fosse dispiaciuta; e quando pure io potessi esser certo della volontà, chi può frenar l' ira ragionevole? io non desidero d’ offenderlo; egli vuol che l’offenda in cosa che può nocere più all’honor mio ch’ai suo: dunque a suo modo non debbo offenderlo ? Si duol dunque di me, perch’io amo più me stesso che lui; se di questo si duole, a torto si duole, et ha così poca cagione di dolersi di me, come di tenermi prigione. E s’ alcuno è c’habbia contraria opinione, dico assolutamente ch’è poco intendente delle cose d’ honore e di nobiltà. Ma acciò eh’ il Sig. Duca di Ferrara conosca eh’ io non sol venni con intendane d’honorarlo e di servirlo, ma che continovo nell’istessa opinione; dico che non istimerò mai più il mio honore ch’el suo, s’egli di quell’ honore vuole parlare del quale, come Principe e come Cavaliero dee fare stima. Che vuole che io dica? che io il sodisfaccia nell’ honore di principe, che non l’ hò per tiranno, e ch’io credo ch’egli la prima volta ragionevolmente sententiasse quel che di me sententiò, ch’io noi sò? Nell’honor di Cavaliero assai dee rimaner sodisfatto di me, s’io l’ hò per tale, quale hò tutti gl’ altri cavalieri del suo tempo. Ma non sono molte opinioni delle quali si dubbita fra Cavalieri del suo tempo, fra Principi? s’el trattato doppio sia lecito, se sia mai lecito mancar di fede, s’ un debba far risentimento io presenza del Principe? Nè di queste sole, ma di moli’ altre cose si dubbita. S’io havessi diversa opinione del Sig. Duca di Ferrara, direi per questo ch’egli fosse meno honorato cavaliere degli altri, c’ han l’istessa opinione? non certo: et hò gli altri per honoratissimi : per onoratissimo aveva il Duca d’ Urbino di felice memoria, tutto che approvasse il trattato doppio, ch’io non approvo: ma non credo già che ’l Duca d’ Urbino si fosse mosso ad operar cosa della quale egli fosse stato dubbio s’egli havesse potuto con suo honore farla onon farla; nè credo, che il Sig. Duca di Ferrara debba esser certo se conira la promessa datami gli sia lecito di ritenermi in prigione: e nel dubbio, non credo che con suo honore possa ritenermici: e chi ha altra opinione nelle cose d’ honore credo che sia molto ingannato; come credo che sia il Sig. Duca di Ferrara. Nell’ altre cose eh’ all’ honore non appartengono, può il Sig. Duca di Ferrara tener qual opinione gli piace , senza vergogna sua: ma s’egli approva quella di coloro co’ quali io ho havuta alcuna emula tione nelle lettere, o essi l’ hanno havuta meco, non dee impedir me di scriver a mio modo. Non mi vuol donare s’io a suo modo non scrivo? non mi vuole honorare? può farlo, ch’io noi riprendo: ma che voglia impedirmi ch’io non possa acquistarmi da vivere, non so come con suo honore possa farlo. Quattrocento scudi l’anno assai comodamente havrei con le mie fatiche potuto guadagnar l’anno 1 in Vinetia. Ne’ due dialoghi della nobiltà e della dignità c’ ho scritti, ho data occasione a Sig. Yinitiani di negarmi quello eh’ a tutti gli huomini nel suo stato concedono; perciochè della dignità del Principe loro e di quella del Ser mo . Duca di Toscana, e del Ser mo . Gran Duca di....* e del Duca di Ferrara, e degli altri Duchi, ho in maniera scritto che mi pare d’haver provato, che per ragione il Principe di Vinetia dovrebbe cedere, ma che se precede, precede solo perchè così piace al Papa, et all’Imperatore: altrettanti n'havrei guadagnati nel Regno di Napoli tra le stampe, ch’ivi sono pure in alcun modo, ed i doni de’ principi e dei cavalieri; ma della nobiltà anche di questi sei Duchi ho scritto in maniera che quegli Illus.mi Signori del Regno se ne possono ragionevolmente tener poco sodisfatti. Mille scudi havrei cavati dal mio poema, se le due volte eh’ è stato stampato fosse stato stampato da me; et il Sig. Duca di Ferrara ha consentito che si stampi; o non ha saputo provederci, volendoci provedere; e mi tiene prigione come matto e non mi facendo dar se non le cose necessarissime. Due mila cinquecento scudi mi ha detto il Cont’ Hercol ... ch'io per ragione posso ricuperare della facoltà materna : et mia sorella mi scrive, che ne posso ricuperare migliaio e centinaio. Molte migliaia di ducati era la facoltà di mio padre, la quale io havrei potuto ricuperare con questi dialoghi e con questo poema: hora se per lo Signor duca di Ferrara ho perdute non solo le speranze, ma quel che dalle mie fatiche mi poteva assai certamente promettere nel regno di Napoli e nello Stato di Vinetia; mi pare assai ragionevole ch’io non perda quel che per ragione posso ricuperare delle facoltà materne; le quali debbo riconoscere anzi dalla giustizia de’ Ministri Regii, che dalla cortesia de’ Principi e de’ Cavalieri Napolitani: et io prego V. S. Rev. che faccia eh’ io possa dedicare i dialoghi e ’l poema a persona eh’ o m’aiuti a ricuperare i duemila e cinque * scudi, o me ne dia il contraccambio, e che parli a proposito, come parlerò con chi in suo nome mi parlerà: voglio oltreciò che sappia V. S. Rev.ma che in questa prigione tanto hò perduto della mia sanità, che non sarei atto ad affaticarmi com'era prima: sicché tra la debilezza della mia complessione e ’l pregiuditio che m' hò fatto nel Regno di Napoli et in Vinetia, non così facilmente potrei nè così comodamente procurarmi il vivere come prima avrei potuto: onde V. S. Rev.ma che in Ferrara m’ha condotto di Savoia, ove il Serenissimo Sig. Principe m’haveva offerta la provisione che mi dava il Sig. Duca di Ferrara, e le mie scritture, dee provedere, o far ch’altri in alcun modo proveda, non dirò a’ miei bisogni ma a le mie convenevoli comodità. V. S. Rev.ma può sapere come son nato e come sono stato allevato; e dee ancho sapere in che grado ho servito il Sig. Duca di Ferrara, ed in che grado ho potuto servire il Ser.mo Gran Duca di Toscana: hora dopo cinque anni d’infermità e di travagli, se per pazzia son caduto dal mio grado, come dicono, la pazzia è anzi degna di compassione che di pena; onde io non veggo perchè debban men’honorare di quel che solevano, cominciando io a ricuperare il senno, come pare agli altri: se per colpa della mia riputation son caduto com’ io credo, quando non vogliano onorare, come solevano, debbono almeno riputar che l’ infermità e ’l disagio di cinque anni sia stata pena convenevole ad ogni colpa, e lasciarmi vivere ritirato e lontano dalle Corti e da’ favori; ma non astringermi ad alcuna sorte di servitù, che non mi piaccia: alla quale io non veggo chi possa costringermi: perciochè sovra la mia volontà non ha alcuna ragione principe alcuno del mondo; sovra il corpo molti possono haverla ; e men degli altri il Duca di Ferrara. Se mi torrà quella eh’ io vo imaginando che alcuno vorrebbe eh’ io facessi. Non muoio, com’ho detto, volentieri; ma per niuna cosa più desidero di vivere che per tìnire il mio poema, come haveva desiderato, e scrivere alcun’altre cose a sodisfaltion mia. S’ altri vuol donarmi la vita pereh’ io cedendo a gli emuli et a’ nemici miei la palma, mi chiami vinto non sol nella ragione delle opinioni, ma anche nello scrivere , può ritenersi il dono che io non gliel chiedo. Ben è vero che s’ alcun fosse, il quale per sua sodisfattione volesse che io scrivessi, non per dare l' honore a’ nemici miei e torlo a me, non negherei di farlo, quando potessi, ma non posso: e s’io avessi risguardo alla sua sodisfattione, dovrebbe egli per grande chè fosse averlo alla mia; e considerare che l’inimicitie e l’ emulationi nate per cagion di lettere sono affetti così possenti, che da niuna ragione possono esser acquetati negli huomini. Ma perchè sono assai risoluto che tutto quel che ’l Sig. Duca di Ferrara ricevesse da me, non tanto per sua sodisfattione quanto per mia poca riputatione il ricercherebbe, e ch’egli la sua soddisfazione in altro, che nella mia poca riputatione non porrebbe; risolvo V. S. Rev.ma che poemi lunghi non solo non sono atto a fare, ma non voglio: brevi, sonetti, dico, e canzoni, ne farò com’ egli vuole, s’a suoi servigi mi vuole: se non mi vuole, assai del suo debito hò parlato, e di quel di V. S. Rev.ma e del mio, eh’ è di morire e di vivere com’huomo; lieto se potrò, ma lieto com’huomo: et a V. S. Illus.ma bacio le mani.
Di Ferrara il 23 di Maggio.
Al Rev.mo et Ullus.mo Signore e padron mio Colend.mo
Il Sig. Cardinal Albani.
R.U. al Sig. Girolamo Brasavola.